giovedì 18 giugno 2015

Danilo Mattei Manager Blog - Robet De Niro

De Niro: "Essere normale
ecco la mia trasgressione"

Incontro con il grande attore, che parla del ritorno sul set con Scorsese e del cinema italiano: "Le vostre commedie sono sottovalutate, non hanno nulla da invidiare a quelle di Hollywood"di CURZIO MALTESE

ROMA - Gli anni passano anche per i miti, ma quando Robert De Niro allarga la faccia in un sorriso, è lo stesso dell'ultimo fotogramma di C'era una volta in America. Un'immagine che ha segnato un tempo, una generazione, una stagione della vita di tutti noi. 

Signor De Niro, è sorprendente vederla recitare in italiano in Manuale d'amore 3. Come l'ha convinta Giovanni Veronesi?
"E' stato puro caso. Mentre scriveva il film, Veronesi aveva conosciuto Danilo Mattei (ex attore di Magni e Risi, ora agente immobiliare, ndr), che è mio amico da trent'anni. Attraverso di lui, mi ha fatto avere il copione. L'ho letto, mi è piaciuto, in più c'era Monica Bellucci. Ed eccoci qua. Lei non ha idea di quante cose nel cinema accadano per caso". 

E' un personaggio inedito per lei, un professore mite e timido.
"Questo mi ha incuriosito. E' un uomo che riscopre la vita quando vi aveva ormai rinunciato, attraverso l'innamoramento. Le passioni non invecchiano".

Lei ha invitato al festival di Tribeca registi italiani all'epoca quasi sconosciuti, da Sorrentino a Crialese. Ora a Cannes, dove è presidente di giuria, se li ritroverà forse in concorso, insieme a Nanni Moretti. Lavorerebbe con qualcuno di loro?
"Magari. Adoro lavorare in Europa e specialmente in Italia, per ovvii motivi".

Le radici?
"E il cibo. E' stato nei miei ristoranti a New York?". 


Capisco. A parte questo?
"Penso che il vostro cinema sia sottovalutato. In America arrivano troppo pochi film italiani. Ho visto i Manuali, sono commedie molto ben scritte, più belle di tante di successo negli Stati Uniti. Attori come Carlo Verdone e Michele Placido non hanno nulla da invidiare alle star internazionali. Con Veronesi mi sono trovato magnificamente e ora sto girando a Barcellona con lo spagnolo Rodrigo Cortès (il regista di Buried, ndr). L'Europa rigenera. Un altro film qui mi piacerebbe molto". 

Scorsese e Coppola hanno dedicato memorabili omaggi al cinema italiano. Oggi i nostri giovani registi, a cominciare da Sorrentino e Garrone, s'ispirano al cinema italo-americano dei 70 e 80. Esiste una specie di passaggio del testimone?
"Non mi faccia domande complicate, rischia di avere risposte stupide. Scherzi a parte, per me è difficile parlare di scuole cinematografiche. Ho lavorato con Bertolucci e Sergio Leone, ed erano molto diversi. Così come sono diversi Scorsese, Coppola o Cimino. Ma è vero che il sentimento è lo stesso. Credo che per loro, e in particolare per Scorsese, il grande cinema italiano, più che un modello sia stato un'educazione sentimentale". 

Allora una domanda stupida: che cosa proverà a tornare sul set con Scorsese per The Painted House, a 16 anni da Casinò? 
"E' più eccitante delle prime volte. E' passato molto tempo, ed era giusto, per rispetto al pubblico. Bisognava trovare una storia forte come questa di Frank Sheeran (killer di mafia, accusato di venticinque omicidi, compreso quello del sindacalista Jimmy Hoffa, ndr). Ritrovarsi tutti sul set sarà un'emozione incredibile". 

Avrà ancora al fianco Joe Pesci. E' vero che lei e Scorsese lo avete scoperto quando lavorava in un ristorante?
"Aveva fatto l'attore e il musicista senza gran successo e accompagnava ai tavoli i clienti. Martin e io andavamo a mangiare lì e ci dicevamo ogni volta che sarebbe stato perfetto per il ruolo di Joey La Motta, il fratello di Jack. Finché ne parlammo al proprietario, che ci disse: ok, ma ve lo prendete per sempre, io non gli tengo il posto. In pratica ci vendette Joe. E direi che abbiamo fatto un buon affare". 

Qual era il motore di quel gruppo straordinario? L'amicizia, le stesse origini, la stessa visione del cinema?
"Tutto questo, ma soprattutto Scorsese. E' stato lui a metterci insieme allora, io, Joe, Harvey Keitel e gli altri. Ed è stato ancora lui a distanza di tanti anni. Scorsese ha un forte senso del gruppo, si potrebbe dire della bottega di famiglia". 

Non esiste in tutta la storia del cinema un rapporto così felice fra un regista e un attore, come fra lei e Scorsese. Forse soltanto Fellini e Mastroianni?
"Sì, credo sia il paragone giusto. Come Fellini con Mastroianni, Scorsese ha scelto me come suo alter ego sullo schermo". 

Com'è il lavoro sul set, Scorsese la lascia libero d'improvvisare?
"Sì, anzi paradossalmente io sono più portato alla fedeltà assoluta alla sceneggiatura di quanto non lo sia lui. Non amo gli attori che partono da sé stessi invece che dal testo". 

E' la fedeltà assoluta al metodo Stanislavskij?
"Sì, ma non sono un ideologo del metodo. Ho avuto una grande maestra di recitazione, Stella Adler, che lo detestava, con ottime ragioni. Ma per me era giusto. Dovevo prendere la licenza di taxi per Taxi Driver, ingrassare di trenta chili per Toro Scatenato, eccetera. Altrimenti non sarei stato in grado di recitare bene. Ha ragione Woody Allen, alla fine l'unica regola nella vita è: basta che funzioni". 

E' vero che non riguarda mai i suoi film?
"Assolutamente vero. Guardo molti film, a volte perfino la mattina presto, appena sveglio. Ma non quelli dove ho recitato. Ogni volta era un tormento. Mi si aprivano nuovi orizzonti, mi accorgevo che avrei potuto fare molto meglio. Ora sono diventato più tollerante. Infatti sto finalmente pensando di prendermi una bella pausa per rivederli tutti, in sequenza, e vedere che diavolo ho combinato in tutti questi anni" 

A Sanremo, in tv da Fazio, lei è parso molto pacato. Qualcuno ha pensato a un atteggiamento snob. Chi la conosce dice che è il suo stile. 
"Non voglio essere un personaggio fuori dal set. Nel nostro ambiente la cosa più trasgressiva è essere normali. Il mondo è già abbastanza pazzo, non crede?".  

Abruzzo Robert De Niro
 

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